Intervista a Tsegereda Gebrehiwot Tikue

/Intervista a Tsegereda Gebrehiwot Tikue

Padova marzo-aprile 2009
(La trascrizione riportata non è stata volutamente ristrutturata o corretta: sono tutte parole della dottoressa).

PRIMA PARTE

Presentazione personale del percorso di formazione
“Mi chiamo Tsegereda Gebrehiwot Tikue e da più di 25 anni faccio il medico. Sono nata in Eritrea dove attualmente vivo e svolgo il mio lavoro.
Fin da piccola nella mia mente c’era il desiderio di fare medicina. A scuola i miei insegnanti dicevano che ero portata per la matematica e nonostante mi piacesse, non avevo dubbi: volevo diventare medico. Era la mia volontà, “Una volontà che sentivo nel cuore”.
Mi sono laureata in medicina nel luglio 1983 all’Addis Abeba University Medical School e come medico generale, per 3 anni ho lavorato occupandomi di diverse realtà.  Questo aiuta ad acquisire maturità e a capire quale può essere la scelta per la specializzazione. Quello che ho visto mi ha fatto nascere il desiderio di specializzarmi in Chirurgia.
Sono riuscita ad avere una borsa di studio per studiare in Italia e specializzarmi in Chirurgia d’Urgenza. Sono così partita per Roma nell’aprile del 1986 e dopo 18 mesi di scuola in Chirurgia d’Urgenza Pediatrica, nonostante mi piacesse, ho scelto di cambiare percorso di formazione. Sentivo che dovevo cambiare e ho iniziato a studiare per diventare Pediatra. Perché ho fatto questa scelta? Perché nei miei pensieri c’era sempre l’Eritrea. Volevo essere medico ma medico nel mio paese e quindi dovevo formarmi per essere utile per la mia gente. Non ho mai sognato di lavorare all’estero e tutti i miei pensieri si rivolgevano alla mia terra. Ho così capito che dovevo chiedermi come potevo essere più utile e ho capito che c’era bisogno di pediatri perché da noi ce ne sono pochi e troppi bambini hanno bisogno di cure. Dovevo studiare in fretta, perché non c’era tempo, la mia gente aveva bisogno di un medico, un pediatra in più. Questo mio sogno si è realizzato e oggi dico che ho fatto bene a cambiare. Nel mio cuore però è sempre rimasto il desiderio di specializzarmi in chirurgia e nel mio cuore resterà un mio desiderio.
Così nel novembre del 1991 mi sono specializzata in Pediatria  presso l’Università Cattolica Sacro Cuore, a Roma e sono tornata in Eritrea nel 1992.
Da 17 anni sono Pediatra e da quando sono tornata da Roma ho lavorato sempre nello stesso ospedale, l’ “OROTTA PEDIATRIC HOSPITAL” che attualmente è diventato un’ ospedale di terzo livello. Oggi lo posso dire: quello che ho pensato nel 1986 è stato giusto.”

Perché hai scelto di formarti in cardiologia?
“Da noi un Pediatra Generale deve fare tutto e occuparsi di tutte le malattie dei bambini. Questo perché di Pediatri, in Eritrea ce ne sono pochi e quelli che ci sono devono affrontare e saper gestire tutti i problemi che presentano i bambini. Pneumologia, Cardiologia, Immunologia … tutto.
Da noi ci sono ancora tanti bambini che hanno bisogno di cure, soprattutto quelli più grandi. La malattia del cuore che curiamo non è solo congenita come si vede maggiormente qui in Europa. Nei paesi non industrializzati le cure cardiopatiche sono molto legate anche alla malattia reumatica che colpisce i bambini dai 5 ai 15 anni. La natura di questa malattia è grave e aggrava la salute dei bambini. Essi infatti necessitano di trattamenti ma anche di cure post intervento molto complesse e specifiche.
Nel mio lavoro “Vedo bambini grandi che hanno la sofferenza grave, che parlano e muoiono parlando. La mia è una vita che mi commuove e quindi dobbiamo lavorare tanto, tanto per aiutare questi bambini”. Nonostante tutto, mi piace occuparmi di Cardiologia pediatrica. E’ sempre una cosa importante per me lavorare con questi bambini perché in loro ho sempre visto tanta speranza e “intelligenza”. Non so come posso spiegarvi ma questi bambini li vedo intelligenti.
Le malattie reumatiche che curiamo si sviluppano quando i bambini sono in età scolare e questo permette loro di conoscere la malattia come qualcosa che li ha colpiti e sanno che devono imparare a vivere con essa. Per questo sono intelligenti! Sanno che la loro vita è diversa da quella degli altri bambini: sanno che attività agonistica non la possono fare. Non possono correre troppo, come fanno gli altri e si fermano quando non ce la fanno. Conoscono i loro limiti, imparano una vita diversa dai compagni che invece vivono in tutta serenità e felicità. Vivono diversamente la loro gioventù, ma la affrontano e la vivono. Questo per me è essere intelligenti!
In loro vedo anche la speranza e per me è importante provare ad aiutarli. Per me, veder questi bambini è come vedere angeli. “Un bambino è un angelo”. E sono parole che mi ripeto ogni mattina prima di iniziare a lavorare. Anche per questo sono contenta di essere Pediatra perché vivo sempre con gli angeli. Quando vedo un bambino innocente sofferente per una malattia io sento che devo fare qualcosa, sempre.
La mia speranza mi tira avanti e cerco di fare qualcosa per loro. Con i colleghi facciamo ciò che possiamo fare. Sempre.”

L’esperienza con Hammer Forum
“La moderna terapia per la cura delle cardiopatie, in Eritrea, è appena iniziata. Nel 2002 attraverso l’Hammer Forum si è iniziato ad operare i bambini cardiopatici, grazie al lavoro dei Dottori P. Schwidal e A. Urban  che hanno realizzato e iniziato questo programma che io benedico sempre.  L’Hammer Forum e’ un NGO  che aiuta malati e bambini nei paese colpiti dalle guerre. Il primo team di cardiologi è stato guidato dal Prof. Urban e la cooperazione negli anni è migliorata sempre.
Prima che partisse questa collaborazione ho sempre cercato di portare i bambini all’estero per farli operare. In Europa, nello specifico Olanda, Germania, Italia ma anche in Israele. Ho sempre cercato qualcuno che potesse prendere questi bambini e curarli.  Ciò è stato molto costoso e il loro spostamento spesso era molto complesso ma ho sempre cercato di farlo fino a quando non ho conosciuto l’Hammer Forum.
Dal 2002 molti dei nostri bambini sono stati curati in Eritrea e non li ho dovuti mandare all’estero. Molte operazioni potevano essere fatte direttamente nell’ospedale Orotta Pediatric Hospital dove io lavoro e questo è stato molto importante non solo per me ma anche per le famiglie dei bambini.
Diversi team di cardiologi e cardiochirurghi vengono in Eritrea, per fare le visite diagnostiche cardiologiche e programmano gli interventi chirurgici  da eseguire durante la missione.
Da Padova nel 2003-04 sono arrivati la prof.ssa Milanesi e il prof. Stellin e hanno raggiunto i miei amici della Germania. Con il loro aiuto il numero dei pazienti operati è aumentato tanto e la vita dei bambini che seguivo è migliorata. Grazie a loro io ho avuto la speranza e la forza di andare avanti perché ho visto che qualcosa si poteva fare per loro. Questo per me è stato un vero cambiamento nell’Orotta Pediatric Hospital e mi sento di dire che “una cosa è cambiata  in questo ospedale, è cambiata davvero” e ha aperto nuove possibilità.”

L’esperienza con l’equipe di Cardiologi e cardiochirurghi italiani
“Ho conosciuto i carissimi professori nel 2004: prima la prof.ssa Milanesi e poi il prof. Stellin che vengono ad aiutarci, a lavorare. La loro mentalità di lavoro, quando “cardio team” arriva, mi fa guadagnare energia per muovermi poi tutto l’anno. Non è solo la parola che mi danno ma anche il loro movimento, l’azione il loro lavoro mi aiuta tanto. La loro eccellenza professionale mi fa sentire una persona fortunata perché ho potuto conoscerli e imparare da loro. La loro accoglienza è molto gradita e sono contenta di averli conosciuti. Come esseri umani vengono ad aiutare chi soffre. Di loro ammiro il venire da noi e dedicare se stessi per lavorare. Non è da tutti. Non tutti vengono lì, pochi vengono per aiutare quelli che hanno bisogno di cura. Sono venuti in un posto dove non hanno trovato niente e hanno iniziato a fare, a lavorare per portare anche qui la cura moderna. Ci vuole dedizione, un cuore grande anche perché non è facile venire ed aiutare chi ha bisogno di cure e soffre. Sono speciali per me. Di cuore ammiro la loro dedizione nei nostri confronti. Mi fa piacere a dirlo. la volontà di andare giù ed aiutare a me colpisce davvero tanto, tantissimo.”

“Ho conosciuto tanti medici anche qui a Padova e tutti hanno mostrato grandi abilità e sentimento nei confronti della professione. Ho imparato tanto. Non solo negli aspetti scientifici ma anche il loro modo di lavorare, di dedicare la professione nei confronti di questi bambini mi ha insegnato molto. Stando affianco a loro ho guadagnato entusiasmo.
E come vedo la loro esistenza qui, come lavorano e con quali strumenti tecnologici, mi rendo conto che noi invece in Eritrea, siamo indietro di molto. Siamo rimasti indietro e dobbiamo lavorare ancora tanto. In medicina però c’è sempre un passo in avanti. C’è. Sempre c’è! Ma bisogna usare quello che c’è e usarlo bene. Un giorno arriveremo anche noi.“

“Quando parlo di team cardiologia e cardiochirurgia di Padova e’ molto importante anche parlare di sostegno. Il sostegno che abbiamo non è solo dei medici che già danno tanto. C’è l’ organizzazione dell’Associazione “Un Cuore, Un Mondo-Padova” Onlus che è grande! Ha deciso di spendere e dedicarsi anche a noi e lavorare non solo per i loro bambini, anche per i nostri. E ci aiuta. Il Progetto Elias,  per cui voglio approfittare e ringraziare il signor Alem Demoz. Il mio grazie per lui è profondo specialmente se penso al motivo per cui ha deciso di iniziare questo tipo di attività. Ci vuole un bel coraggio! E lui lo sa che sempre vive con quel sentimento profondo per suo figlio e non e’ facile! Lui sta cercando di aiutare altri bambini. Nell’ attività che si fa in Eritrea Alem Demoz e’ la colonna vertebrale, “Backbone”, in pochi parole.  Lui è grande! Non posso non ricordare anche l’aiuto e la collaborazione che si sta avviando con l’Università di Padova. A questo non pensavo che saremmo mai arrivati. Tante persone dietro a tutto questo, tanta dedizione e speranza condivisa. Questo sostegno per me è … faccio fatica a trovare le parole perché non riescono ad esprimere quello che provo. Grazie a loro.”

SECONDA PARTE

La tipologia d’utenza e come si affronta la loro malattia
“Qui a Padova la tecnologia è molto avanzata: vediamo bambini che hanno la diagnosi già in epoca fetale e quando nascono, si sa già come intervenire. Da noi è diverso. Nella prima settimana di vita qui si può già fare il cateterismo o l’intervento chirurgico e i bambini hanno la cura speciale per la loro vita. Ma da noi, come ho detto è diverso. Non si fa la diagnosi fetale e quando il bambino nasce nessuno fa l’ecocardiografia e tutti i bambini tornano a casa senza sapere se hanno una cardiopatia. Durante la vita infantile se il bambino presenta qualche malattia, viene in ospedale e facciamo la diagnosi. Ma solo in quel momento.
Molte volte gli interventi che si dovrebbero fare quando i bambini sono molto piccoli non si fanno perché la malattia è troppo grave o perché i genitori portano il bambino in ospedale troppo tardi. Ma da quando è iniziata la collaborazione con Hammer Forum, i bambini piccoli che vengono in ospedale, anche se vengono tardi, se l’intervento si può fare lo fanno i medici che provengono dalla Germania e dall’Italia.”

“Noi vediamo bambini più grandi, con malattie reumatiche in età scolare e facciamo la cura. L’ intervento finora non è mai stato fatto perché non è facile farlo con gli strumenti che abbiamo. Ma ora si fa grazie agli aiuti che abbiamo anche se non è facile perché il percorso per la cura è lungo. Vediamo più bambini con malattia reumatica, molti di più di quelli che vediamo qui in Italia. La patologia è diversa.  Ad oggi, dall’inizio della collaborazione con le due equipe sono stati operati più di 300 bambini che ora hanno una vita normale. Ciò mi fa piacere a dirlo. Anche questo è sempre un motivo di soddisfazione e che mi permette di stare vicino ai malati di cuore e mi unisce sempre di più agli amici italiani e tedeschi.  Dico sempre: “quando si fa medicina in questo tipo di ambiente è più bello anche se tu dedichi tanto per arrivare più in là, in avanti … ma in qualsiasi punto tu arrivi, ti dà soddisfazione e la dedizione ti dà tantissimo”.

Cosa porti via da questa esperienza?
“La volontà di lavorare di più. Io sempre penso “cambierò questo quando vado giù , faccio questo …”. C’è sempre più desiderio, “mentalità” di svolgere il lavoro in un determinato modo.
Io vorrei anche insegnare ai nostri giovani medici perché abbiamo bisogno di medici che lavorano in questo campo. Questo è il mio sogno: dividere quello che io so perché i medici devono essere specializzati e conoscere bene i diversi campi.
Così si va avanti. Condividere e insegnare ai medici, nuovi e giovani medici. Col tempo avremo tanti medici e avremo le cure per aiutare i bambini. Anche nelle cure delle cardiopatie mi aspetto molto avanzamento e se dividiamo quello che sappiamo è un passo avanti. È quello che ora ho in mente. Porto con me esperienza che ho imparato qui.”

Cosa vorresti per il futuro? 
“Io lavoro nell’ Ospedale da 18 anni e quando guardo indietro vedo che sono state fatte molte cose.  Quando ci sei dentro non vedi quanto è stato fatto. Ma alcune volte quando ricordo il passato penso a cos’era il mio lavoro. Per molti anni ho lavorato in un Reparto unico dove c’erano tanti bambini con tante malattie diverse tra loro. Erano tutti lì, insieme nella stessa stanza. Pian piano con un collega pediatra, abbiamo iniziato a curare le malattie croniche legate all’endocrinologia, alle cardiopatie, malattie infettive e tante altre. Eravamo solo noi due ad occuparci di tutto questo. Abbiamo iniziato dal niente.
Con gli anni abbiamo aperto il reparto di Neonatologia che adesso è un Reparto specializzato. Per quattro anni ho lavorato in questo Reparto che aveva solo 4 letti. Quattro anni senza nessun cambiamento. Pian piano ho insegnato agli infermieri a lavorare lì tanto che siamo riusciti a far crescere bambini con peso di un Kilo che ora vedo andare a scuola e stare bene.
All’inizio era tutto disorganizzato e sparpagliato. Difficile andare avanti ma se non c’è niente devi vivere con ciò che hai e provare a portarlo avanti. Ed è proprio da qui che sono partita col mio lavoro. Lavorando in questo modo siamo riusciti ad aprire anche il Reparto d’Urgenza. Ora siamo arrivati ad avere 5 reparti.
Dal 1997 il Reparto di Pediatria è diventato un Ospedale di Pediatria. Sono stata lì, dall’inizio e ho visto nascere questo Ospedale ed è nato nel 1997. Per 5 anni è stato un Reparto …  Ma c’è sempre sviluppo!
Nel 2004 abbiamo anche aperto la Scuola di Medicina perché dobbiamo lavorare anche come insegnanti di medicina. Pian piano andiamo avanti con questo lavoro. L’anno scorso abbiamo iniziato anche la Scuola di Specializzazione in Pediatria.
C’è sempre qualcosa da fare e da sviluppare. Sono ottimista e credo che nel futuro guadagneremo ancora molto (nel guadagnare qualcosa nel futuro). Siamo arrivati al terzo livello di prestazione dove possiamo fare tanti tipi di cura. La scuola di medicina l’anno prossimo avrà già i primi laureati. Io vedo un futuro lucido dove ci sono buone cose in via di sviluppo soprattutto in medicina, con le cure che abbiamo iniziato credo si svilupperanno in grande qualità.”

Come sono le famiglie con cui lavori?
“Ci sono diversi tipi di famiglie. C’è differenza tra loro. “Dipende dalla coscienza” che hanno. Abbiamo tante tipologie di famiglie: alcune provengono dalla città, sono poco istruite ma conoscono cosa vuol dire  “malattia del cuore”. Se il bambino ha una malattia del cuore, i genitori hanno un sentimento molto forte chiedono e seguono  la cura e l’intervento.
Diverso è il sentimento delle famiglie che vengono dalla periferia della città. A loro si fa fatica a spiegare “la malattia”. Ad esempio, se viene una madre con un bambino di 3 anni e non è possibile fare l’intervento io faccio fatica a dire alla madre che la cura non si può fare. Lei non capisce, il suo livello di consapevolezza di ciò che vuol dire “avere una certa malattia” è diverso. A lei dico che il bambino ha una malattia grave e che non si può operare. Ma lei pone la domanda: “se mio figlio ha una malattia grave, perché l’intervento non si fa?” Questa è la domanda dei genitori che non conoscono la medicina. A volte aggiungono: “ Vengono i dottori dall’Italia e dalla Germania e perché allora non operano il mio bambino? Se mio figlio è grave allora deve avere l’intervento perché arrivano dall’estero per curare proprio quelli gravi.” Queste sono le domande e i pensieri dei genitori. Col tempo capiscono ma non è una cosa facile da gestire per noi medici.
Qui in Italia invece, ho notato che è diverso. Le famiglie capiscono tutto: i genitori descrivono gli interventi fatti, le medicine prese dal bambino. Conoscono i nomi delle malattie, si informano. Quindi credo che le famiglie “entrano a scuola” per imparare quella malattia del loro figlio. La conoscono e sanno cosa faranno i medici, quale sarà il prossimo passo, azione, il prossimo futuro. Sanno tutto. È diverso rispetto da noi. La situazione è diversa. La possibilità di farsi capire è diversa. Quando c’è qualcosa capiamo ma da noi è diverso, manca la mentalità/possibilità di informarsi.”

“In generale però un bambino con malattia grave ha genitori che accettano quello che sta accadendo e non abbandonano il figlio, anzi, sono molto raccolti tra loro. Accettano con la loro dignità quanto sta accadendo. E ciò ho visto che accade anche in Italia.
Quando diciamo che il bambino è grave non perdono la speranza e la possibilità di curare. Hanno sempre la speranza che li accompagna. Fino all’ultimo momento hanno la speranza e questo mi fa piacere perché io come medico anticipo le condizioni del bambino e dico come sarà il futuro e anche se non è molto positivo i genitori non pensano così come me e continuano a sperare. Qualche volta non sapere è bene. Loro non sanno cosa li aspetta perché non lo hanno mai visto e vanno avanti e proteggono il bambino al meglio. Alcune volte i genitori non mandano a scuola questi bambini, per proteggerli! E cercano di fare il meglio. Non li abbandonano. Fanno di tutto per proteggerli: coinvolgono anche gli altri figli e chiedono loro di proteggere il bambino malato. È bello e aiuta anche noi medici.

Sono stata qui per 3 mesi e ho conosciuto la mentalità di lavorare in questa Università. Voi come medici avete un modo di lavorare molto attivo … “i medici qui corrono sempre!” E tutti accettano questo modo di lavorare. Quindi io ammiro questa energia. I medici corrono per arrivare in un posto, in un Reparto. Mi ha colpito fin dal primo momento: quando uno rispetta il suo lavoro in questo modo, credo arriverà dove ha pensato di arrivare. Mi piace molto questo ambiente e ve lo volevo dire alla fine.“

Tsegereda Gebrehiwot Tikue

2013-12-02T17:43:46+00:00